Blog

Blog

Autore: Laura Gelli 08 feb, 2024
Elena Benassi di SU LA ZAMPA è venuta a trovarci!
Autore: Laura Gelli 07 lug, 2022
SERE D'ESTATE AL PARCO ARCHEOLOGICO DELL'ANTICA KAINUA
Autore: Laura Gelli 01 gen, 2022
VIDEO-INTERVISTA PER "CAMPI APERTI"
17 dic, 2021
Un intreccio di mito, storia e tradizione che ha origine fin dalla comparsa dell’uomo attribuisce alla mela il valore di frutto per antonomasia. Questo frutto è infatti descritto, narrato, cantato e immaginato fin dall’antichità: primissimo esempio lo si trova nell’Antico testamento dove è una mela, il frutto proibito che Adamo ruba per Eva e che condanna l’uomo alla sua condizione terrena; anche nel Simposio di Platone si cita la leggenda de “l’altra metà della mela”, dove Aristofane cerca di spiegare in che cosa consiste l’amore e dice che all’inizio ciascuno costituiva un intero (l’uomo e donna uniti come una mela e divisi da Zeus in due metà). Fu una mela che cadendo a terra suggerì a Newton le considerazioni che si tradussero poi nelle leggi fisiche sulla gravità. Sempre questo frutto diede l’occasione a Guglielmo Tell di provare la sua abilità di arciere colpendo una mela posta sulla testa del figlio. Anche l’arte non esita a utilizzare questo frutto elegante e dalle più svariate forme, dimensioni e colorazioni, troviamo mele nei quadri di Michelangelo, Tiziano, Arcimboldo, Caravaggio, Botticelli e persino Cezanne per poi arrivare a Morandi. Il simbolo di questo frutto rimane vivo e intenso anche nella nostra epoca dove New York è definita “la grande mela”, dove questo frutto rappresenta il marchio di una grande azienda di computer e cellulari, nel cinema nei film di Biancaneve oppure Il tempo delle mele infine c’è il classico e popolare detto: “una mela al giorno toglie il medico di torno”. Informazione storiche più “scientifiche” e riscontrabili si hanno a partire dal 1200 a.C. dove il faraone Ramsete II fece piantare alberi di melo nei giardini di Alessandria per gli annuali doni ai sacerdoti di Tebe; pare anche che gli antichi etruschi conoscessero la tecnica dell’innesto fin dal 700 a.C.; l’imperatore romano Appio Claudio portò in Sardegna la mela che da lui prese il nome; nel primo secolo dopo cristo Plinio il Vecchio scrisse un’opera dove descriveva 36 tipi di mele. Dopo i fasti dell’impero romano è impossibile ritrovare tracce di letteratura specifica fino al XV secolo quando compaiono alcune opere scritte da monaci francesi. La sua diffusione è in tutta Italia e lungo la dorsale appenninica si sono sviluppate aree vocate a questo frutto dove antiche genealogie sono giunte a noi con le loro peculiarità organolettiche, queste varietà di frutti antichi sono state conservate e studiate da tempo dall’Università di Bologna e poi da un progetto ISPRA per la loro biodiversità vengono raccolte tutte le informazioni sulle varietà frutticole antiche e autoctone, con uno scopo: quello di dare un contributo conoscitivo sui frutti antichi in una dimensione nazionale per salvaguardare cosi l’agrobiodiversità. Salvare la biodiversità significa, quindi, salvare un patrimonio genetico, economico, sociale e culturale di straordinario valore. La Rosa Romana è una varietà tipica dell’appennino Bolognese, l’Università di Bologna e il Crpv hanno condotto una mappatura e caratterizzazione molecolare degli alberi secolari ancora sopravvissuti in appennino per stabilirne il patrimonio genetico, affinché non si perda l’originalità del frutto con caratteristiche particolari. L’albero è molto vigoroso e molto produttivo anche se lento a fruttificare. Il frutto è di pezzatura media o media-grossa, di forma schiacciata; la buccia è verde sfumata di un bellissimo colore rosso intenso e brillante a volte striato, sulla parte esposta al sole; la polpa è soda, acidula, non eccessivamente succosa. I frutti si raccolgono tra la fine di settembre e i primi di ottobre e si conservano bene fino a maggio, fuori dalle celle frigorifere. Con il passare del tempo la colorazione verde sfuma al giallo per completare la maturazione. E’ piuttosto rustica e perciò più resistente alle malattie delle varietà moderne (Golden, ecc.) ed ha proprietà salutistiche interessanti una fra tutte in caso di attacco della ticchiolatura (tipica malattia che colpisce le mele con punti neri) il frutto si difende sviluppando polifenoli utili a noi per combattere i radicali liberi. Valori nutrizionali della mela per 100g di frutto fresco Kcal 56,7: Zuccheri semplici 12g Zuccheri complessi 0g Lipidi 0,3g Saturi 0g Protidi 0,3g Fibre 12,7g Ricca di acidi organici, fondamentali per l’equilibrio acido-basico del sangue, la mela, grazie ai sali di potassio (la cui presenza contribuisce in modo determinante alle qualità organolettiche dei frutti), e ai tannini favorisce l’eliminazione dell’acido urico, quindi consigliabile nei dolori articolari, reumatici e per stimolare la diuresi. Le fibre, di cui la mela è ben fornita, pur non avendo nessun valore nutrizionale, assolvono l’importante funzione di assorbire l’eccesso proteico, lipidico e glucidico presenti in un pasto eccessivo o squilibrato, di conseguenza regolando i livelli di colesterolo nel sangue. Tutte queste qualità della mela Rosa Romana e le condizioni agricole in collina hanno fatto si che quest’anno sia nata l’Associazione Rosmana, mela Rosa Romana dell’Appennino Bolognese, con lo scopo di reintrodurre la coltivazione delle mele ed altri frutti antichi in Appennino per migliorare il reddito dei contadini che ancora oggi coraggiosamente, nonostante le molteplici avversità, popolano e producono in questi territori. Ho già detto più volte che coltivare in appennino è difficile per tanti motivi, pendenze dei terreni, mancanza d’acqua, fauna selvatica eccessiva, maglie poderali piccole e non continuative intervallati da aree boschive e calanchi, pertanto l’Associazione vuole farsi promotore dell’unione e della comunicazione fra contadini, per far circolare le idee e le informazioni, per fare massa critica e produttiva per affrontare il mercato. Inoltre l’associazione si fa promotore di tipologie di coltivazione a bassissimo impatto ambientale, condividendo pratiche di agricoltura biologica e biodinamica per salvaguardare l’ambiente, apparentemente non ancora compromesso data la scarsissima utilizzazione di fitofarmaci, pesticidi e diserbanti tipici delle colture massive di pianura. Passiamo a elencare alcune ricette per mangiare queste squisite mele che ci accompagnano per tutto l’inverno, una cassetta messa sul balcone, coperta per le gelate e la luce, ci restituisce frutti pronti all’uso.
Autore: websitebuilder 17 dic, 2021
Il declino del numero e dei tipi di piante coltivate nei campi (agro-biodiversità), i cambiamenti climatici e la fame nel mondo, sono tre dei problemi globali discussi più frequentemente. I tre problemi sono intimamente connessi e come tali dovrebbero essere affrontati anche se spesso si fa proprio il contrario. Come vedremo in dettaglio più avanti, i punti di congiunzione di questi problemi sono i semi. I semi forniscono gran parte della nostra alimentazione (anche quando mangiamo animali, mangiamo indirettamente piante) e l’alimentazione ha grandi conseguenze sulla nostra salute. Perciò parlare dei semi vuole dire parlare della nostra salute. Che il clima stia cambiando é ormai generalmente accertato, tanto é vero che non si discute più se i cambiamenti stiano avvenendo, ma su cosa fare per mitigarne l’effetto e/o adattare le colture ad un clima che in molti casi sarà più asciutto e più caldo di quello di oggi, e soprattutto più variabile. Ė anche accertato che nei prossimi anni i cambiamenti climatici avranno un effetto profondo e diretto sui sistemi agricoli e/o alimentari. Purtroppo l’alternarsi di politici con pochi scrupoli ai vertici mondiali rende una possibile strategia mondiale inapplicabile, con la conseguenza che il clima peggiora, ma la scienza non vi pone rimedi. L’agricoltura scientifica e industriale si é largamente basata sulla monocoltura e sull’uniformità. Delle circa 250.000 specie vegetali che si stima esistano sul pianeta, delle quali circa 50.000 sono commestibili, noi ne mangiamo appena 250, tra le quali 15 forniscono il 90% delle calorie nella nostra dieta, e soltanto 3 (riso, mais e grano) il 60%. In queste tre colture il miglioramento genetico (scienza con cui i ricercatori producono nuove varietà di piante e nuove razze di animali domestici) ha drasticamente ridotto la diversità genetica, perché ha riempito i campi di piante tutte uguali. Oggi per esempio, il 75% della superficie mondiale coltivata a patate, e il 65% della superficie mondiale coltivata a riso, é basata soltanto su quattro varietà; per altre colture come mais, soia e frumento la situazione non é molto diversa. In aggiunta alla progressiva diminuzione di biodiversità nelle colture più importanti, vi é stata anche una progressiva concentrazione del controllo del mercato dei semi. Nel 2006 le ditte private fornivano globalmente i 2/3 del seme, e tra il 1994 e il 2009, la quota globale di mercato del seme, nelle mani di quattro corporazioni industriali, é passata dal 21 al 54%. Nel 2009, otto corporazioni controllavano il 63,4% del mercato mondiale dei semi e il 74,8 % del mercato di pesticidi e diserbanti. È difficile pensare che vi sia un interesse a produrre varietà resistenti a malattie ed insetti se chi vende semi vende anche pesticidi, e se chi vende semi e pesticidi, produce anche varietà. Questa é stata purtroppo la tendenza degli ultimi decenni con un aumento progressivo del miglioramento genetico fatto dalle corporazioni industriali a scapito di quello di pubblico interesse. Tuttavia i contadini debbono sempre tenere presente che il mercato é fatto di domanda e di offerta, e nel caso del mercato del seme, loro rappresentano la domanda: se smettono di comprare il seme perché se lo producono da soli, l’offerta é costretta a cambiare. Una delle conseguenze meno appariscenti della privatizzazione scientifica del miglioramento genetico é la mancanza di riconoscimento e di utilizzazione del sapere dei contadini, e di conseguenza la loro graduale scomparsa. Ė bene ricordare che dalla domesticazione delle piante coltivate, iniziata nel Neolitico, circa 10.000 anni fa (per domesticazione si intende il processo graduale per cui si é passati dalle piante selvatiche, che spesso esistono ancora, a quelle coltivate), per circa 9.900 anni l’intero processo del miglioramento genetico, compresa la produzione del seme e la distribuzione delle colture nel mondo, é stato nelle mani di contadini analfabeti. In queste migliaia di anni si é formato quello che si chiama “sapere contadino” basato su un rapporto quotidiano tra uomo, piante e animali, con un accumulo di conoscenze giorno per giorno basata sull’esperienza fisica e umana. Circa 100 anni fa, ciò che fino allora era stato fatto da tantissimi agricoltori in tantissimi posti diversi, cominciò ad essere fatto da pochi ricercatori in relativamente pochi posti, ovvero nei centri di ricerca i quali col tempo hanno finito per somigliare sempre meno alla realtà dei campi degli agricoltori. Lo sanno bene gli australiani che oggi, anche dopo la privatizzazione del miglioramento genetico, fanno selezione nei campi degli agricoltori. Durante questo processo, e con rarissime eccezioni, non é stato fatto alcun uso di quel sapere contadino accumulato nei millenni. Se questo è vero per tutta l’agricoltura convenzionale (agricoltura che utilizza fitofarmaci fertilizzanti e diserbanti chimici), ciò non trova risposta nell’agricoltura biologica o biodinamica, che ricerca invece la biodiversità. Cosa si intende per “biodiversità agricola”? E’ la diversità delle specie coltivate per scopi alimentari, medicinali, industriali etc. La biodiversità agricola é la somma della diversità tra specie, tra varietà entro specie e tra individui entro varietà. Questa biodiversità è necessaria perché ambienti con condizioni climatiche diverse hanno necessità di specie diverse, che ben si adattano al microclima ambientale. Molte organizzazioni internazionali, riconoscendo il valore e l’importanza della biodiversità in generale e della biodiversità agraria in particolare per il futuro dell’umanità, hanno promosso e promuovono la conservazione delle vecchie varietà locali e dei loro progenitori selvatici in strutture note come “banche del seme” o “banche del germoplasma”. Si tratta di edifici dove i semi vengono conservati in condizioni (bassa temperatura e bassa umidità) che ne dovrebbero assicurare la germinabilità per molti anni. Periodicamente, ogni certo numero di anni che varia con la specie e con le condizioni di conservazione, il seme viene seminato e ringiovanito. Al mondo esistono circa 1700 banche del seme con 7.400.000 campioni di semi. Le collezioni meglio documentate sono quelle dei Centri Internazionali di Ricerca (www.cgiar.org) che complessivamente hanno oltre 700.000 campioni, di cui quasi il 60% di varietà antiche, di oltre 3000 specie diverse. Le banche del seme sono essenziali come ultima risorsa in caso di calamità, tuttavia, il problema più grave che si crea in queste strutture è che esse, oltre a congelare il seme, congelano anche l’evoluzione e la conoscenza. Esistono esempi di banche del seme gestite direttamente da agricoltori. Molto più diffuse sono le figure di agricoltori, che dedicano parte del loro tempo e delle loro risorse alla conservazione di varietà antiche. In alcuni casi questi agricoltori, detti anche “agricoltori custodi”, sono organizzati in associazioni. Il loro lavoro di selezione delle sementi introduce un concetto importante: il miglioramento genetico. Il miglioramento genetico é quella scienza (alcuni la considerano come un misto di scienza e arte) che ha lo scopo di produrre nuove varietà di specie coltivate, e nuove razze di animali domestici, combinando in un unico individuo caratteristiche favorevoli presenti in individui diversi. Il miglioramento genetico opera soprattutto attraverso il controllo degli incroci, scegliendo uno o entrambi i genitori degli incroci sulla base di obiettivi ben specifici (aumento delle produzioni, miglioramento della qualità, introduzione o aumento della resistenza alle malattie, etc.). Con l’avvento della genetica molecolare, il miglioramento genetico può oggi avvalersi di tecniche che consentono di conoscere con precisione i geni posseduti dagli individui (cioè il loro genotipo), anziché fermarsi soltanto al loro aspetto esteriore (cioè il loro fenotipo che risulta dagli effetti combinati del genotipo e dell’ambiente). In questo modo é possibile scegliere i genitori e successivamente gli individui che si ottengono dagli incroci in base ai geni che possiedono, aumentando notevolmente l’efficacia della selezione. Il miglioramento genetico molecolare (che viene spesso incluso nel termine generico di biotecnologie) non é diverso da quello convenzionale, perché entrambi operano nell’interno delle specie definite come sopra, senza una manipolazione dei geni e senza modificare il DNA (cosa che fanno per ottenere le sementi OGM). In realtà il miglioramento genetico è avvenuto in maniera naturale fino al secolo scorso, attraverso l’impollinazione degli insetti di diverse colture, quando venivano coltivate molte specie, selezionate successivamente dall’uomo perché più produttive e meglio resistenti alla malattie, un po’ come è avvenuto per l’uomo in centinaia di anni. La scienza oggi ci dà una mano: soprattutto per ritrovare il riconoscimento del DNA di specie e varietà perse, per ripristinare una biodiversità importante per l’umanità, per poter coltivare in modo biologico e biodinamico conduzioni poco impattanti e quindi veramente ecosostenibili. Per poter salvare il mondo tutti i settori produttivi devono fare la loro parte, e l’agricoltura non è da meno, perché a differenza di quanto si possa pensare, attualmente l’agricoltura convenzionale gronda di petrolio e di conseguenza consuma e inquina il mondo che abitiamo.
Autore: websitebuilder 17 dic, 2021
In primavera e con l’estate dietro l’angolo, le belle giornate, il sole e le passeggiate, si portano dietro la voglia irrefrenabile di raccogliere le profumatissime erbe ed i fiori, che con i loro sfavillanti colori, ricoprono prati verdi in campagne e vallate. Anche per quelli di noi un po’ meno esperti nel riconoscimento botanico è comunque una meravigliosa opportunità, basta organizzarsi con una delle tante guide tascabili, un paio di forbici, un coltello ed un sacchettino di stoffa o meglio ancora un cestino per regalarsi gioia e soddisfazione nel raccolto. La raccolta di erbe spontanee commestibili ci permette di riappropriarci del valore della natura, ricordandoci che le coltivazioni sono arrivate soltanto dopo e che una volta, tanto tempo fa, i nostri avi raccoglievano quel che il territorio nel quale vivevano dava loro, senza necessità di coltivare ettari ed ettari in monocoltura, evitando così di intaccare la biodiversità tanto importante per ogni specie su questo pianeta. Proprio per questa ragione se tra le piante che descriverò si andrà ad intaccare l’esistenza della pianta stessa fornirò con piacere anche pillole di consigli su come non intaccarne invece la sua esistenza come specie sul territorio. La raccolta di piante edibili spontanee poi ci ricorderà che una volta erano le stagioni che regolavano l’alimentazione e che bisognava essere previdenti e come delle brave formichine organizzarsi per i tempi di minore abbondanza. Noi però, pur non avendo la necessità di far scorte per l’inverno possiamo certamente ricavarne ottime erbe spontanee sia da mangiare crude in insalate che scottate leggermente a vapore o magari aggiunte a farinate, frittate o zuppe o al massimo per qualcuna si può sempre decidere di essiccarne foglie, fiori o semi. Infine un suggerimento: se avete dubbi sul riconoscimento di una certa pianta fatele una bella fotografia e magari tagliatene una parte, conservatela e così una volta giunti a casa potrete cercarle con più criterio il nome; inoltre ricordatevi che il riconoscimento botanico non solo non è una cosa che si impara in dieci minuti ma deve essere molto accurato in quanto esistono piante molto simili ma con effetti totalmente opposti (è il caso di molte specie che hanno “sosia” tossiche) ma non preoccupatevi molto spesso capita per piante appartenenti alla stessa famiglia ma in ogni caso vale sempre la regole che se si hanno dubbi meglio non raccoglierle. Un trucchetto poi è imparare a riconoscere una certa pianta aspettando che sia fiorita, questo perché il fiore aiuta parecchio nel riconoscimento ed è per questo che è importante andare per erbe in questo periodo, più che per raccogliere tutto quello che vorremmo per imparare a riconoscerle e quindi poterle raccogliere l’anno prossimo con facilità! Esistono poi addirittura corsi di riconoscimento di erbe spontanee, perciò se la cosa vi interessa un altro buon metodo è quello di frequentarne uno. Le più comuni, sicure e facili da riconoscer sono sicuramente, secondo la mia esperienza, le 10 piante che mi accingo a descrivervi ma prima ricordatevi sempre che per non sbagliare dovete sempre fare riferimento al nome latino e non a quello volgare, inoltre iniziate ad imparare a riconoscerne due o tre prima di passare a riconoscere le altre. Taraxacum officinalis Tra i fiori e le piante selvatiche più rinomate che possiamo impiegare in cucina è il tarassaco (taraxacum officinalis) che in primavera riempie di allegria e colore i prati. Ha diversi nomi: dente di leone per la forma delle foglie, piscialetto per ricordare le proprietà diuretiche o soffione per la consuetudine dei bambini che si divertono a soffiare sui semi maturi appesi a piccoli paracaduti riuniti un una palla di ovatta. Il tarassaco è una pianta che si offre a noi in primavera per aiutarci a rinnovarci assieme alla natura in un periodo in cui tutto rinasce. Infatti ha virtù depurative agendo a livello del fegato e cistefellea, abbassa il tenore del colesterolo, contiene inulina, fero e vitamine del gruppo B. La maggior parte dei principi attivi sono concentrati nelle radici, che si raccolgono in autunno e si usano in decotto. In primavera si raccolgono le foglie tenere per delle insalate, le foglie più coriacee si sbollentano i fiori si utilizzano per appariscenti insalate e gelatine, infine i boccioli si possono trattare come i capperi solo che rimangono leggermente tannici. Silene vulgaris Viene volgarmente chiamata strigoli ed è facilmente riconoscibile per i fiorellini dal calice rigonfio. Esistono moltissime specie di Silene, alcune delle quali molto diffuse, come la Silene inflata e la Silene alba. E’ commestibile, i germogli o gli apici carnosi si mangiano crude in insalate o viene utilizzata nelle minestre, nei risotti, nelle frittate o anche semplicemente lessata e condita. Il sapore è veramente ottimo e da tutti gradito. Valerianella olitoria Non molto comune allo stato selvatico, viene spesso coltivata come insalata orticola, anche se quella selvatica possiede un gusto migliore. La valerianella è anche chiamata grassagallina, si trova allo stato selvatico nelle zone erbose ed ombreggiate, vicino ai corsi d’acqua, nei prati, presente dal piano fino al medio colle. E’ un’erba dal gusto delicato e molto gradevole, utilizzata cruda in insalata, sola o in miscellanea con altre erbe. E’ buona norma lasciare qualche pianta in modo che possa fiorire e disseminare per l’anno successivo. Urtica dioica (o urens) Pianta comune in ogni luogo, dal mare ai monti e da tutti conosciuta. L’ortica possiede notevoli virtù terapeutiche ma è pure ampiamente utilizzata in cucina. Si usano preferibilmente le giovani e tenere foglie, lessate e condite, sole o con altre erbe, nelle minestre, nei risotti, nelle frittate, come ripieno per i ravioli o nei gnocchetti all’ortica. Fate attenzione a dove la raccogliete, l’ortica tende ad assorbire i nitrati e più invecchia più aumenta la concentrazione, evitate quelle vicino a letamai o campi concimati chimicamente. Ha un sopore gradevole, ben accetto da tutti. Portulaca oleracea Piantina provvista di numerose ramificazioni comune ed invadente negli orti, con aspetto prevalentemente strisciante, fusti carnosi, piccole foglioline succulente e fiorellini gialli. E’ molto comune nei terreni asciutti e sabbiosi. Ne esistono anche parecchie varietà coltivate a scopo ornamentale, con fiori di diversi colori. Contiene alte quantità di vitamina C, tanto che un tempo veniva utilizzata contro lo scorbuto. E’ completamente commestibile, si mangiano sia le sommità che i fiori in insalata o cotti, in minestre, oppure fritte in pastella. Plantago Nei nostri prati potete trovare diverse specie di piantaggine, ma le più comuni sono la Plantago major (con foglie grandi e larghe), la Plantago lanceolata (con foglie sottili ed allungate). E’ molto apprezzata anche in cucina, lessata o cruda in insalata, conferisce un verde intenso a minestroni o minestre di verdure ingenere. Malva sylvestris Pianta comune, si trova nei campi, lungo i bordi delle strade, nelle zone incolte, vicino ai ruderi. Oltre che nella pratica culinaria è molto utilizzata come pianta medicinale. La malva possiede un ottimo sapore, specialmente i fiori e i teneri germogli ma si possono utilizzare anche le giovani foglie. Può essere cucinata sola o con altre verdure. Si presta bene per i risotti, nelle minestre e nei minestroni di verdure. I fiori possono essere utilizzati come guarnizione per vari piani oppure possono essere canditi. Papaver rhoeas Pianta comune e da tutti conosciuta, presente un po’ ovunque, dalla pianura fino alla bassa montagna. Il papavero chiamato anche rosolaccio viene raccolto in primavera, si utilizzano le rosette basali raccolte prima della fioritura e i giovani germogli, oltre ad i semi maturi. Le foglie delle rosette vanno lessate e condite come gli spinaci, hanno un ottimo sapore gradevole. Si prestano bene anche come ripieno per ravioli o per torte salate e possono anche essere mescolate con altre verdure. I giovani e teneri germogli si possono consumare crudi, conditi con olio e limone, cucinati nei risotti o impanati e fritti. Sanguisorba officinalis – (Poterium s.) È comune nei prati aridi, nelle zone assolate e ai bordi delle strade. Il nome volgare è pimpinella e si utilizzano le foglie, raccolte prima della fioritura, quando sono ancora ben tenere. Tagliuzzate grossolanamente, servono ad aromatizzare minestre e minestroni o insalate, conferiscono un aroma gustoso simile a quello del cetriolo. Chenopodium album Pianta comune considerata infestante dei prati aridi, degli incolti e dei coltivati. Il nome farinaccio o farinella deriva dal fatto che toccando la superficie delle foglie, si percepisce una fine granulosità, simile a quella della farina, data dalla particolare peluria di cui sono provviste. Gli usi culinari sono del tutto simili a quelli degli spinaci ai quali assomiglia vagamente, anche come sapore. Oltre a queste piante che ho sopra descritto ce ne sono altre di conoscenza comune, i cui fiori sono largamente utilizzati. I fiori d’acacia profumati e bianchi da non confondere con quelli gialli del maggiociondolo che sono tossici. Il sambuco dal profumo inconfondibile da non confondere con il falso sambuco anch’esso tossico, per fortuna il portamento della pianta è completamente diverso. I fiori di calendula, margherita dei campi, viola mammola, albero di giuda, sono buoni per insaporire insalate o fare deliziose gelatine. Questa volta sono a darvi numerose ricette per l’uso delle nostre erbe spontanee, vi ricordo che tendenzialmente molte erbe spontanee sono leggermente amare per via dei tannini, quindi in genere le quantità usate non sono eccessive.
Autore: websitebuilder 17 dic, 2021
Frutta e verdura di stagione sono sempre una garanzia in termini di salute e benessere, ma non solo. Azienda Agricola La Casetta Vi indica tutti i motivi per cui preferire sempre l’acquisto di prodotti freschi stagionali. Frutta e verdura di stagione Un prodotto di stagione va sempre preferito prima di tutto per un fattore salutare. Difatti, una pianta coltivata nel giusto habitat e periodo stagionale offrirà un prodotto con più alte proprietà nutrizionali, come quelle che ci si aspetta. Rispettare questi fattori è anche un regalo per la natura, poiché vuol dire evitare lunghi viaggi di trasporto e un eccesso di risorse energetiche per una coltivazione meno naturale. E vuol dire anche la possibilità di non utilizzare pesticidi, necessari quando si coltiva fuori stagione, poiché la pianta è più sensibile ad insetti e agenti aggressivi. Questa è anche una delle ragioni per cui la frutta e la verdura di stagione hanno sempre un gusto migliore. Infine questi prodotti, necessitando di minori attenzioni ed energie, ed essendo prodotti in località vicine, avranno di conseguenza dei costi di vendita inferiori.
Share by: